Ines di Bruno Corradetti

Benvenuti cari lettori del blog Letterina 32.com. Qui di seguito vi presento l’intervista pubblicata sul blog della Albatros libri. Bruno Corradetti è stato ospitato per rispondere ad alcune domande sulla suo toccante romanzo “Ines” In una sinossi appena accennata. In questa straordinaria opera, racconta la storia di una giovane ragazza che, dopo essere stata vittima di un terribile incidente, vede la sua vita e quella di suo padre cambiare radicalmente. Attraverso le difficoltà fisiche e spirituali, Ines trova conforto nell’amore incondizionato del padre e nel supporto dei suoi amici più cari. Una narrazione che esplora la resilienza umana e l’importanza dei legami affettivi, “Ines” promette di commuovere e ispirare i suoi lettori.
Scopriamo insieme di più attraverso le parole dell’autore.

Bruno, puoi raccontarci cosa ti ha ispirato a scrivere la storia di Ines? C’è qualche esperienza personale che ha influenzato la trama?

Mi piacerebbe poter affermare che quanto si legge nel libro sia solo ed esclusivamente frutto di fantasia. Che quanto descritto esuli da esperienze personali. In realtà gran parte delle mie storie, sono parte di storie realmente accadute, non in prima persona, condite con qualche briciolo di fantasia e considerazioni personali. Da quando ho iniziato a scrivere, relativamente tardi, nel 2017, mi sono reso conto, in verità, di quanto la realtà sia capace di superare ogni prolifica fantasia, sotto qualsiasi forma ed aspetto. Non nascondo che essere infermiere, in certi argomenti, mi dà una grossa mano d’aiuto. Nella mia attività, ho la necessità di costruire con i miei pazienti dei processi empatici. Ognuno di loro, sono un universo a sé stante, con necessità, curiosità, paure, motivazioni, completamente diverse le une dalle altre. A quel punto si prova a immaginarsi nelle situazioni e considerare se ci si dovesse trovare nella medesima situazione, quale sarebbe il giusto atteggiamento e come, in verità mi comporterei. Si sente più spesso di quanto si possa immaginare la solita domanda “Perché proprio a me?” Le risposte possono essere varie ma si cade sempre a colpevolizzare il caso o analizzarlo con la stessa laconica risposta “A qualcuno deve pur capitare” La vita è così, un regalo e come per ogni essere di questo mondo, si deve imparare a godere e gestire ciò che si ha. Essa ha la peculiare caratteristica di avere i giorni contati. É un viaggio e noi i viaggiatori. Quest’ultimi sono divisi in tre categorie. Nella prima lo sguardo è maggiormente rivolto da dove si è partiti. Nella seconda, sono compresi coloro il cui sguardo si spinge solo ed esclusivamente sulla loro meta, in ultimo, la terza, che ritengo sia decisamente l’esempio più corretto, si gode il viaggio con tutto ciò che esso concede, tralasciando tutto il resto, che altro non è che il risultato di tutti i passaggi. 

Il rapporto tra Ines e suo padre è centrale nel romanzo. Come hai sviluppato questa relazione e quali sono gli aspetti che volevi mettere in risalto?

Ines non è il mio primo romanzo dove il tema della famiglia assume un aspetto centrale. Sono certo di non sbagliare nell’affermare che la famiglia è il principale insieme di persone grazie al quale si ha modo di imparare i primi rudimenti, i primi valori. Per quanto si possa avere un fantasia creativa, per poter descrivere questo tipo di situazioni, si utilizza per lo più memorie e riferimenti già vissuti della propria esistenza ed immancabilmente sono utilizzati attimi della propria vita. Alcuni di questi sono enfatizzati ed altri appena accennati. Parlare di famiglia è sempre difficile. A mio avviso non esiste la famiglia perfetta, almeno in questo periodo storico, se qualcuno dovesse dire il contrario, per esperienza diretta, potrei dire che non racconta tutta la verità, oppure è figlio della gallina bianca. Le dinamiche familiari sono delle alchimie, un pot-pourri di sensazioni, a volte diametralmente opposte, esplosioni umorali, prepotenza quando palese e quando celata dietro un silenzio od un falso sorriso. Questo certo non è il caso di Ines, amata alla follia dal padre. É un amore a 360 gradi che per alcuni potrebbe essere considerato quanto ambiguo e quando di stile retrò. Difatti sotto certi aspetti non è melenso, è apparentemente duro, ma con scopo. In certe situazioni la famiglia deve essere di supporto, ma non deve trasformarsi in sostituzione, fino ad arrivare al servilismo. Lo scopo della famiglia è di supportare, spronare, educare, dare l’abbrivio al soddisfacimento dei bisogni fino ad arrivare all’autonomia non solo funzionale. Quest’uomo, che ha sofferto un dramma che è sempre difficile da assorbire e metabolizzare, ha sfruttato e trasformato il proprio dolore in energia per se e per la figlia. Superando preconcetti e pregiudizi. 

Ines attraversa un percorso di grande sofferenza ma anche di crescita interiore. Quali messaggi speri che i lettori possano trarre dalla sua esperienza?

Quello di Ines è un percorso che nessuno dovrebbe pensare di affrontare, e che nessuno augurerebbe neanche al peggior nemico. Calandomi nei pensieri e considerazioni altrui, mi rendo conto che tutto ciò che esce dalla consuetudine sia catalogato come anormale, impossibile, ingiusto, diverso, fino a considerarlo sbagliato. Nel percorso della propria esistenza, ciascuno di noi fa la conoscenza con diversi modi di affrontarla e di affrontare il rapporto con gli altri. Ci viene insegnato ad occhi chiusi che ogni elemento dello stesso gruppo sociale è paritario l’uno all’altro, questo quando non si notano delle caratteristiche personali che in qualche modo ti fanno uscire dai normali schemi. In quel momento, potenzialmente, tutto potrebbe cambiare. Tutto ciò che si è imparato come un mantra, passa nel dimenticatoio, si osserva tutto ciò che ci circonda con gli stessi occhi di coloro che vedono per la prima volta, superficialmente, e dal profondo di se stessi iniziano ad apparire convinzioni profondamente sbagliate, pregiudizi, fino a quando tutto ciò che è diverso è da allontanare e relegare nell’angolo più lontano e buio. In seguito, capita qualcosa, si conosce qualcuno che inavvertitamente incrocia la tua strada. É un leggero sfiorarsi, che nel tempo si trasforma in una energica spallata che rompe i tuoi equilibri, fino a farti rendere conto che non sei così forte e deciso quanto immaginavi. Un tocco capace di aprirti gli occhi e fortunatamente riuscire a vedere oltre la forte corazza e la maschera che ci avvolge, riuscire ad osservare nel profondo, ciò che c’è di buono tra il cervello ed il cuore di ogni singolo individuo. Siamo costituiti dallo stesso materiale genetico ma ciò che conta e sempre conterà non ha massa, non lo puoi conservare. Allora non saranno più gli occhi azzurri o verdi che ti rendono più bello, non saranno i muscoli che ti rendono più forte ma allo stesso tempo esso sarà ciò che alla fine andrai a ricercare maggiormente. Rischierei di scrivere una serie di aggettivi che riuscirebbero a descrivere solo ed esclusivamente se stessi, invece, probabilmente, non ce n’è uno che riesca a descrivere la totalità. A questo punto ognuno di noi sceglie il termine che più gli permette di riconoscersi. Quello che per me probabilmente si avvicina maggiormente a questo pensiero è Resilienza, ma altri potrebbero chiamarlo coraggio. Vorrei consigliare a coloro che leggono questa esperienza, di fare il possibile per non viverla. Alcuni la vivrebbero al pari di una caduta in una voragine dalle pareti lucide e scivolose. Solo qualche appiglio qua e là, potrebbe rallentare la caduta, mentre il fondo si avvicina velocemente. Probabilmente è una lettura scomoda perché va ad incidere alcune nostre certezze che poi così certe non sono. 

Gli amici di Ines svolgono un ruolo fondamentale nel suo recupero. Come hai costruito questi personaggi e in che modo contribuiscono alla rinascita di Ines?

Aprirei una parentesi facendo un breve riferimento alla precedente domanda inerente alla famiglia e le relazioni ad essa collegata. Se una persona curiosa si pone alla ricerca del significato del termine famiglia, si trova scritto che è un insieme di persone, legate da vincoli di matrimonio, di parentela, di affinità, adozione, affiliazione, tutela o da vincoli affettivi, che dimorano abitualmente sotto lo stesso tetto. Esistono situazioni che, per quanto particolari, si avvicinano al concetto di famiglia, nonostante i partecipanti non abbiano stretti rapporti di parentela e di consanguineità. In questo modo il concetto di famiglia assume realtà diverse e non per questo meno corrette. A dirla tutta credo che gruppi di amici, possono, sotto certi punti di vista, assumere il concetto di famiglia. Con il termine di “Amici” non intendo conoscenti. Con il passare del tempo e con l’assimilazione dei concetti della nostra vita, se per curiosità si dovesse chiedere ad ogni singolo individuo quanti amici abbia, sono sicuro che il loro numero non supera mai quello delle dita di una mano. Il punto di domanda dovrebbe essere come si riesce a capire quando una persona è tua amica e quando è solo una conoscente. Da questo momento in poi si apre un gigantesco vaso di Pandora. Ognuno di noi ha le proprie considerazioni. Alcuni considerano la distanza, quanto più vicino sono più amici sono. Altri considerano le attenzioni con cui sono supportate. Non bisogna avere un fiuto sopraffino per gli imbrogli, quando ti rendi conto che tutto ciò che ti viene detto non è solo per il bene personale ma per quello di entrambi. L’amico trova sempre il modo di dirti ciò che pensa senza imposizioni, rispettando il pensiero altrui ma dando la possibilità di considerare lo stesso problema sotto un altro punto di vista. Ti chiede scusa se si rende conto di avere sbagliato e questo non lo fa segretamente all’interno una stanza, lo fa pubblicamente, mostrandosi in tutta la sua persona. Ti aiuta a risolvere i problemi, ti supporta, ti fa sorridere anche quando tutto l’universo sembra accanirsi con te. L’amicizia è un rapporto interpersonale multi-distanziale. Nell’amicizia è molto importante la distanza e il rispetto della stessa. L’amico sa quando poter entrare nello spazio personale dell’altro, e quando è in dubbio, attende che venga invitato. Ci sono invece delle volte, come il caso del libro, che lui ti sfidi, stimolando l’ego. Sono certo che tutti, nessuno escluso, vorrebbero amici come quelli di Ines, io per primo. 

Senza svelare troppo, possiamo aspettarci che “la principessa” Ines trovi il suo “galante cavaliere”? Quale ruolo gioca l’amore romantico nella sua rinascita?

Non voglio apparire forzatamente romantico, in quanto penso che l’amore non sia solo romanticismo. Ines “la principessa” non è romantica o, meglio, non appare eccessivamente romantica. In verità all’inizio non cerca il romanticismo e non cerca l’amore. È troppo impegnata a risolvere il suo problema. Non c’era nessuno che fosse di suo interesse. A tutti piace essere corteggiati, ma certo non si immaginava che qualcuno, potesse avere un pensiero per lei, in particolar modo nelle condizioni attuali. Mi domanda del galante cavaliere e dell’amore romantico ma questo probabilmente è un tentativo di dare un lieto fine ad una storia alquanto travagliata. Esistono anche amicizie romantiche e non per forza si deve finire nel gioco principessa e cavaliere. L’amore è alchimia, magia, brividi. È anche un’alba, un tramonto, la brezza mattutina, la risacca marina, oppure solo un pensiero, una possibilità. Al di là del racconto, il mio pensiero è che la principessa Ines capisce che la sua vita è stata resettata. Dal momento in cui scende dalla pista sulla Senna, capisce che la sabbia della sua clessidra ha ripreso a muoversi, ed ora dipende da lei analizzare tutti i fatti e prendere delle decisioni sulla sua vita e su se stessa a mente fredda. Se poi qualche galante cavaliere si presenterà al suo cospetto, avrà vita facile nell’assumere qualsivoglia decisione.